18.02.2021
Ambiente
La Terra promessa della carbon neutrality
La ricerca del ‘zero-impatto climatico’ che coinvolge le istituzioni internazionali e le aziende

La decarbonizzazione quale risposta al global warming

Rinviata di un anno a causa della pandemia, nel novembre 2021 è prevista a Glasgow la prossima Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP26). Il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha chiesto che per quella data “ogni Paese, città, istituto finanziario e azienda” adotti piani per la transizione a zero emissioni nette entro il 2050. 

È il tema, assolutamente decisivo nella lotta al climate change, della carbon neutrality, ovvero il traguardo del saldo zero delle emissioni di anidride carbonica (biossido di carbonio, CO2) che deve riguardare ogni attività umana. 

Si tratta di un obiettivo assolutamente irrinunciabile per riuscire a tenere sotto controllo il principale effetto e insieme causa del climate change: il riscaldamento globale (global warming). Per riuscire infatti a contenere l’aumento di temperatura media del pianeta entro la soglia di 1,5° (il primo grado ce lo siamo già giocati negli ultimi 50 anni) – incremento reputato ancora ‘gestibile’ dal Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) delle Nazioni Unite – è essenziale raggiungere il traguardo delle emissioni zero entro la metà del ventunesimo secolo. 

L’obiettivo di contenimento del global warming è stato introdotto nel 2015 dall’Accordo di Parigi firmato da 195 Paesi, inclusa l’Unione europea che ha poi provveduto a dare gambe agli impegni assunti fissando per gli Stati aderenti, nell’ambito del programma Green Deal, una riduzione delle emissioni di CO2 del 55% (precedentemente il 40%) entro il 2030 e la completa decarbonizzazione per il 2050.

La leadership mondiale dell’Unione Europea nella carbon neutrality

Secondo il piano stabilito l’UE aspira dunque a raggiungere entro la metà del secolo la neutralità climatica, ovvero a diventare il primo continente a togliere dall’atmosfera almeno tanta CO2 quanta ne produce: questo obiettivo diventerà legalmente vincolante se il Parlamento e il Consiglio europeo adotteranno, come previsto dal Green Deal, la nuova legge sul clima. 

Ma il quadro è continuamente in evoluzione, movimentato e sospinto dalla consapevolezza dei ritardi accumulati e del rischio di danni irreversibili arrecati alla vivibilità del pianeta: siccità, ondate di caldo, piogge intense, alluvioni e frane sono sempre più frequenti anche in Europa e vanno di pari passo con i report scientifici che attestano l’innalzamento del livello dei mari, l’acidificazione degli oceani e la perdita della biodiversità. 

Così il 7 ottobre 2020 il Parlamento europeo ha approvato il suo mandato negoziale per la stesura della nuova legge sul clima (la procedura legislativa UE prevede la ‘codecisione’, ossia l’accordo tra Parlamento e Consiglio) proponendo il nuovo obiettivo della riduzione delle emissioni del 60% entro il 2030 e richiedendo di fissare un ulteriore traguardo intermedio per il 2040. 

Il quadro delle emissioni di gas serra nella UE e nel mondo

Del resto, ulteriore tempo per tergiversare davvero non ce n’è. Le temperature medie globali hanno raggiunto il picco massimo fra il 2009 e il 2018, il decennio più caldo registrato fino ad ora. Dei 18 anni più caldi registrati dall’uomo, 17 si sono verificati nel nuovo secolo. 

I dati del Programma europeo di osservazione della Terra Copernicus indicano che il 2020 è stato l’anno più caldo registrato in Europa e la pressoché totalità delle analisi scientifiche attestano che tale anomalia è dovuta all’aumento delle emissioni di gas serra generate dalle attività umane. 

A tal proposito va ricordato che il biossido di carbonio rappresenta quantitativamente, e in modo netto, il principale (81%) dei gas ad effetto serra rilasciati nell’atmosfera ed è dimostrato che il suo esponenziale incremento sia di origine antropica. Certo esistono anche altri tipi di gas serra (metano, monossido di diazoto, idrofluorocarburi) che, seppur emessi in misura minore, hanno una capacità maggiore rispetto alle CO2 di trattenere il calore. 

Ciò non toglie però che la CO2 rimane l’osservato speciale tra gli inquinanti proprio per la sua origine quasi completamente umana: attività quali la combustione di carbone, petrolio e gas, la deforestazione, l’allevamento sono infatti tra le maggiori imputate global warming. 

Immagine: La Terra promessa della carbon neutrality

Emissioni di gas serra nell’UE e nel mondo – 2017 (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici UNFCCC)

Più in particolare volendo procedere ad una schematizzazione per settore di provenienza, la produzione e l’uso di energia è responsabile dell’80% delle emissioni di gas effetto serra, circa un terzo del quale è attribuibile ai trasporti. La quota rimanente, non calcolando le attività di utilizzo del suolo (ad esempio l’edilizia), si stima provenga per il 8,72% dall’agricoltura, per il 7,82% dai processi industriali e di utilizzo del prodotto e per il 2,75% dalla gestione dei rifiuti. 

Immagine: La Terra promessa della carbon neutrality

Emissioni di gas serra nell’UE divise per settore – 2017 (Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici UNFCCC)

Se vogliamo invece delineare una classifica geografica degli ‘inquinatori’, secondi dati aggiornati al 2015 la Cina e gli Stati Uniti occupano rispettivamente il primo e secondo posto, mentre l’UE si trova al terzo posto seguita da India e Russia.  

Non a caso il Segretario generale dell’Onu ha recentemente ricordato che le nazioni più ricche del G20 sono responsabili di oltre l’80% dell’inquinamento climatico e sono quindi chiamate a guidare il processo di sostenibilità.

Immagine: La Terra promessa della carbon neutrality

Chi ha emesso più gas serra a livello mondiale nel 2015 (Centro comune di ricerca -IRC- su CO2 fossile ed emissioni di gas serra globali)

Le 3 linee di azione per la riduzione della CO2

Se dunque produzione e utilizzo di energia, insieme ad attività industriali e agricole, sono i principali responsabili delle emissioni di carbonio come concretamente si può riuscire ad abbattere la sua presenza nell’atmosfera? 

Vi sono 3 direzioni di intervento possibili

  • La prima strada è quella della riduzione alla fonte: rientrano in questa categoria di interventi i sistemi tesi ad impedire il rilascio di anidride carbonica bloccandola all’inizio del processo di emissione, ad esempio con sistemi di depurazione dei fumi esalati dalle fabbriche o promuovendo l’utilizzo di veicoli elettrici;
  • sempre alla categoria ‘abbattimento alla fonte’ va ovviamente ascritta la conversione energetica globale, ovvero l’auspicabile, sempre più massiccio investimento sulle fonti di energia rinnovabili quali fotovoltaico, eolico, geotermico, così come l’utilizzo dell’elemento più presente nell’universo, l’idrogeno ‘blu’ o ‘verde’, quale vettore energetico pulito e conveniente, nonché il ricorso alle moderne tecniche di efficientamento energetico;
  • la seconda strada, ad oggi ancora oggetto di ricerche e sperimentazioni, è quella del cosiddetto Carbon Dioxide Removal, inteso quale ricorso a tecnologie basate su processi chimici in grado di ‘catturare’ il carbonio dall’atmosfera e stoccarlo nel sottosuolo o imprigionarlo in contenitori nel fondo degli oceani. Si tratta di una frontiera di enorme importanza se si considera che i gas serra restano in sospensione per almeno cento, fino a migliaia di anni, prima di ricadere al suolo; ma allo stato delle cose la complessità e la problematicità di questo tipo di soluzioni genera, insieme alla speranza, ancora un certo scetticismo;
  • la terza linea di azione è quella di favorire il naturale assorbimento della CO2 attraverso la salvaguardia degli ecosistemi e degli elementi protagonisti della fotosintesi clorofilliana: gli alberi, le piante e il fitoplancton (comunemente noto quale ‘erba degli oceani’ a cui dobbiamo il 30% di assorbimento carbonico e la metà dell’ossigeno che respiriamo). 

Il canale delle compensazioni per la neutralità climatica

L’analisi delle 3 linee d’azione possibili introduce il concetto di ‘carbon neutrality’: le ‘emissioni zero’ (ovvero zero-impatto climatico) consistono nel raggiungimento di un equilibrio tra le emissioni e l’assorbimento di carbonio affidato ai cosiddetti ‘pozzi di assorbimento’, da intendersi quali sistemi in grado di assorbire maggiori quantità di carbonio rispetto a quelle rilasciate. 

Ad oggi, non esistono pozzi di carattere artificiale in grado di rimuovere la quantità di carbonio dall’atmosfera necessaria a combattere il riscaldamento globale per cui occorre affidarsi ai pozzi di assorbimento naturali, rappresentati dal suolo, dalle foreste e dagli oceani

Secondo le stime, i pozzi naturali rimuovono tra i 9.5 e gli 11 gigatoni (Gt) di CO2 all’anno ma nel 2019 le emissioni globali di CO2 hanno superato di più di tre volte (38.0 Gt) la capacità totale di assorbimento naturale. Deturpare e indebolire le ‘difese naturali’ non solo, poi, mina alla base la capacità di ricezione del carbonio ma costituisce una modalità attiva di ulteriore produzione poiché il carbonio conservato nei pozzi naturali come le foreste è rilasciato nell’atmosfera attraverso gli incendi, i cambiamenti nell’uso del terreno e i disboscamenti. 

Dal punto di vista delle azioni possibili inerenti le attività umane un altro modo per perseguire la neutralità carbonica consiste nel compensare le emissioni prodotte in un settore riducendole in un altro, secondo sistemi di scambio e compensazione pensati allo scopo: il ‘Sistema per lo scambio delle quote di emissione dell’UE’ è un esempio di schema regolamentato per la compensazione delle emissioni di carbonio delle attività inquinanti, il primo ad essere introdotto a livello mondiale.

ETS, il mercato del carbonio varato dall’Unione Europea

Per ridurre le emissioni delle centrali elettriche e termiche, nonché delle imprese attive nei comparti più energivori ed inquinanti (quali ad esempio raffinerie di petrolio, acciaierie, produzioni di ferro, metalli, alluminio, cemento, calce, vetro, ceramica, cellulosa, acidi e prodotti chimici organici) oltre che nel settore dell’aviazione, individuati quali principali responsabili dei gas serra, l’Unione europea ha infatti introdotto nel 2005 il primo mercato del carbonio fondato sulle ‘quote di emissione’, un sistema di scambio denominato ETS (Emissions Trading System) in virtù del quale queste tipologie di aziende sono tenute ad acquistare una quota di emissione (in pratica un permesso) per ogni tonnellata di CO2 rilasciata in atmosfera. 

Ciò significa che meno le aziende inquinano meno devono pagare per acquisire quote di rilascio, la cui disponibilità sul mercato è destinata ad essere progressivamente ridotta nel tempo in modo da abbattere le emissioni complessive secondo gli obiettivi prefissati. 

Attualmente questo sistema, che copre circa il 45% delle emissioni totali di gas a effetto serra nell’UE, riguarda approssimativamente 11.000 tra centrali energetiche e impianti industriali e ha già portato (dato del 2020) ad un abbattimento del 21% dei rilasci dei settori interessati: l’obiettivo è quello di arrivare, per tale via, a ridurre nel prossimo decennio le emissioni del 43% rispetto ai livelli del 2005, anche grazie ad una riforma del sistema che mira a sostenere nel tempo il prezzo dei ‘permessi di emissione’ (calato conseguentemente alla crisi finanziaria del primo decennio) e incentivare in tal modo le pratiche di conversione ambientale delle aziende. 

Per quanto riguarda gli altri settori produttivi responsabili di rilascio di CO2 che non rientrano nel mercato dell’ETS, è previsto che la riduzione dovrà invece avvenire attraverso ‘tetti’ concordati di emissione nazionale che vengono calcolati sulla base del prodotto interno lordo (PIL) pro-capite: l’applicazione di tali obiettivi riguarderà pertanto settori quali i trasporti, l’agricoltura, le infrastrutture, l’edilizia e la gestione dei rifiuti. L’obiettivo generale è la decarbonizzazione dell’industria europea entro il 2050.

La carbon neutrality per le aziende

Procedere contestualmente

  • alla riduzione delle emissioni di gas serra, 
  • alla salvaguardia delle capacità di assorbimento dei pozzi naturali,
  • alla promozione di modalità di compensazione delle emissioni su vasta scala, 

rappresenta la sola strategia possibile per potere raggiungere i risultati prefissati di contenimento del global warming, gli unici in grado di conservare la vivibilità dell’unico Pianeta di cui disponiamo

Assecondando l’azione di incipit della UE attraverso il varo del Green Deal (Coopservice figura tra i firmatari del ‘Manifesto per il nuovo Green Dealanche in Italia l’investimento sulla decarbonizzazione sta diventando progressivamente un elemento cardine della strategia di molte imprese, che lo pongono al centro della propria azione-comunicazione. 

Ma che cosa significa per un’azienda essere carbon neutral? Il primo passo è la valutazione del carbon footprint o impronta di carbonio che rappresenta la quantità di emissioni di gas a effetto serra originate attraverso il ciclo di vita di un prodotto o di un servizio. È possibile calcolarla redigendo un ‘Inventario delle emissioni di gas serra’ con riferimento all’esercizio annuale, tracciando in tal modo la specifica impronta di carbonio dell’azienda. 

A seguito del carbon footprint l’impresa sarà in condizione di programmare investimenti ‘insetting’ e ‘offsetting’: con il primo termine si definiscono gli interventi (stimabili e certificabili) volti a limitare le emissioni di carbonio all’interno della catena produttiva dell’azienda e che sono in condizione di portare benefici all’ambiente, alle risorse naturali e alle comunità di riferimento. Con il termine ‘offsetting’ ci si riferisce invece agli investimenti in progetti che mitigano l’impronta di carbonio dell’attività aziendale ottenendo crediti di carbonio certificati, specifici titoli di merito ambientale introdotti dal Protocollo di Kyoto del 2005 e confermati dall’Accordo di Parigi del 2015.

I crediti di carbonio certificati per la carbon neutrality delle aziende

crediti di carbonio certificati rappresentano strumenti con i quali le aziende possono controbilanciare il debito ambientale causato dalle proprie emissioni attraverso il sostegno o la promozione di progetti nazionali e internazionali di sviluppo sostenibile, in quanto non si può ragionevolmente pensare di raggiungere la carbon neutrality intervenendo sulle sole attività aziendali. 

I crediti di carbonio consentono invece di compensare le emissioni aziendali su vasta scala, controbilanciandole con iniziative di salvaguardia ambientale da attuarsi soprattutto nelle aree povere e disagiate del Pianeta e che abbiano per oggetto obiettivi globali condivisi quali ad esempio:

  • città sostenibili;
  • produzione e impiego delle energie rinnovabili;
  • consumo responsabile;
  • protezione degli ecosistemi acquatici e terrestri.

Per potere essere generati ed eventualmente immessi nel ‘mercato volontario’ dei titoli di carbonio i crediti devono essere certificati da un ente terzo indipendente in base a determinati standard di qualità e idoneità (tra i principali Gold StandardVCS StandardCarbon Neutral Global Standard) che fanno riferimento ai requisiti definiti dal Clean Development Mechanism , il meccanismo flessibile che, introdotto dal Protocollo di Kyoto, permette alle imprese dei paesi industrializzati di realizzare progetti che mirano alla riduzione delle emissioni di gas serra nei paesi in via di sviluppo generando in tal modo i propri crediti di emissioni (CER, Certified Emission Reductions) che possono essere poi accumulati o venduti sul mercato. 
In questo modo le imprese possono mitigare gli effetti sull’ambiente delle proprie emissioni non ulteriormente riducibili con strumenti finanziari in grado di generare benefici sociali, ambientali ed economici su larga scala. L’obiettivo è un coinvolgimento attivo degli operatori economici nel fermare l’eccessivo sfruttamento delle risorse della Terra, affinché si possa così affermare un nuovo modello di sviluppo compatibile con i tempi di rigenerazione delle risorse stesse.

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